domenica 10 aprile 2011

Il paziente è molto più che la sua malattia

Ultimamente mi è capitato di leggere o sentir parlare di una difficoltà ad instaurare un buon rapporto con medici, soprattutto specialisti. Si tratta soprattutto di problemi relativi alla comunicazione e alla scarsa attenzione per l'emotività del paziente.

Ad un livello più immediato, ciò porta subito ad individuare nella personalità del medico la causa del fallimento relazionale, spingendo il paziente a rivolgersi altrove o, laddove non fosse possibile, ad accettare in maniera ambivalente la diagnosi e la cura. Con tutte le conseguenze del caso...



Sebbene non si possano escludere fattori individuali riguardanti la persona del curante ma anche quella del paziente e sia sempre buona abitudine non generalizzare, si può tentare di portare la riflessione ad un livello più ampio e complesso.

La pratica medica trova le proprie radici in un modello culturale, quello biomedico, ormai molto ben strutturato nelle società occidentali, interamente centrato sulla malattia e fondato sull'idea che la medicina consiste nell'individuare e nell'eliminare la patologia. Il medico è il vero esperto della relazione, il paziente è il portatore della malattia, chiamato a seguire i consigli e le indicazioni.
Tale modello ha permesso il raggiungimento di grandi traguardi terapeutici, ma con un prezzo troppo alto: non ha garantito la giusta rilevanza alla dimensione umana e relazionale nel rapporto di cura.

Gli anni 50 segnano un momento molto importante per l'individuazione di tale modello implicito e per la proposta di un ampliamento attraverso il modello bio-psico-sociale della salute. In tale prospettiva la malattia è considerata come risultato dell'interazione di fattori biologici ma anche psicologici, culturali e ambientali.
Il modello clinico che ne deriva è quello centrato sul paziente: l'interesse del medico non è più rivolto solo alla patologia ma alla persona nella sua integrità, spostando il suo intervento dal "to cure" al " to care".

L'incontro tra il medico e il paziente diventa, pur mantenendo il suo carattere asimmetrico, il rapporto tra due esperti: il medico, esperto della patologia e dei modi per sconfiggerla ed il paziente esperto del suo vissuto di malattia (quanto incide sulla sua vita sociale, affettiva, lavorativa). In quest'ottica le capacità comunicative non sono più soltanto uno strumento per chiedere informazioni e dare risposte, ma anche un elemento cruciale per il raggiungimento di un alto livello di qualità nell'approccio alla cura.

Il modello appena descritto è stato ampiamente studiato e sperimentato nella ricerca psicologica ma siamo ancora lontani da una sua attuazione nella realtà medica italiana. Al di là delle caratteristiche di ogni singola persona e delle modalità individuali di costruire relazioni, occorre un vero e proprio cambiamento culturale che si rispecchi in percorsi formativi in cui ci sia spazio per affrontare l'attitudine alla relazione e l'approccio empatico all'altro.

Questo è tanto più auspicabile se si pensa che quella che potrebbe sembrare una questione teorica riguarda la quotidianità di tutti coloro che vivono una malattia e per i quali il medico diventa una figura centrale nella propria vita.

Post Scriptum

Questo post nasce da un breve (brevissimo) rimando alla mia tesi di laurea triennale. Dato il mio interesse, approfondirò l'argomento nelle prossime settimane: per rimanere sempre aggiornato/a segui il Feed Rss o la Facebook Fan Page di Pensieri e Dintorni.